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3 Giugno 2020

Il credito adesso passa dai big data

La tecnologia e in particolare i big data sono e saranno sempre utilizzati anche per analizzare le richieste di finanziamento degli italiani. Basti pensare che al fine di valutare il merito creditizio di un consumatore o di una azienda, un numero crescente di istituti si basa su dati esterni provenienti anche dai social network. Grazie anche a importanti investimenti nel mondo fintech da parte dei principali gruppi bancari la tradizionale raccolta di informazioni su cui era impostata molta dell’attività bancaria in passato sta perdendo di importanza per lasciare posto ai big data, che arrivando da più fonti consentono di prendere in esame più aspetti e prevedere il futuro. Ma da dove provengono i dati analizzati? L’analisi degli istituti di credito e delle società finanziarie parte dall’incrocio di dati interni (relativi alle transazioni delle carte di pagamento, dagli investimenti finanziari e immobiliari, dall’anagrafica della banca, dall’elenco fidi e affidamenti attuali e storici), dati esterni forniti da provider come Crif ed Experian e dati non strutturati come i post pubblicati sui social network o le registrazioni telefonate ai call center degli istituti. L’utilizzo congiunto di queste fonti consente alla banca di effettuare una valutazione più completa e puntuale del merito di credito e quindi del profilo di rischio dei clienti che richiedono un finanziamento. Ma quello che fa veramente la differenza nell’utilizzo dei big data è che l’analisi aggregata di più fonti, abbinata alla tecnologia, consente di prendere decisioni in tempo reale, rendendo più semplici e immediati i processi di erogazione. In questa direzione hanno fatto scuola le startup attive nel microcredito e nei finanziamenti online. La californiana Lending Club, società di social lending tra le più famose del mondo internet, si è specializzata nella concessione di finanziamenti peer-to-peer online sulla base di un algoritmo che lega, oltre all’anagrafica dei clienti, la storia creditizia e l’area geografica di appartenenza, anche l’analisi di informazioni provenienti dai social network. Nel caso in cui non siano disponibili rating affidabili, il processo decisionale viene affidato a un rating definito ‘social’ che analizza le relazioni digitali del richiedente verificando dati provenienti dai profili social del richiedente incrociati con i pagamenti mobile, stile di vita, relazioni, desideri e acquisti con carte di credito. Una tecnica già utilizzata nel marketing e nella ricerca del personale ma che in futuro sarà sempre più impiegata anche in finanza. Anche le principali banche italiane come Intesa Sanpaolo e Unicredit sono attive su questo fronte tanto che hanno avviato degli innovation center per favorire la progressiva trasformazione digitale delle loro attività, tutelando la privacy dei clienti e l’inviolabilità dei dati. È bene ricordare che l’utilizzo dei big data è il territorio naturale di giganti quali Amazon, Facebook e Google che negli ultimi anni hanno espresso il loro interesse ad avvicinarsi al mondo finanziario. Al momento l’ambizione non è solo costituire una vera e propria banca, ma sfruttare anche i dati in proprio possesso per aumentare la conoscenza sui potenziali debitori. Questi colossi del web dispongono di informazioni sugli utenti più accurate, numerose e tempestive di qualunque provider e quindi il passo dall’utilizzo dei dati per finalità di marketing al loro sfruttamento per una profilazione finanziaria è breve. Non è però tutto oro quello che luccica. Non è da escludere la possibilità che una volta che questi nuovi metodi di analisi guadagneranno popolarità, i consumatori possano modificare il loro comportamento sui social media, al fine di influenzare le valutazioni sul loro merito di credito.
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